Caso dumping, il compromesso non è rispettato

L’industria del solare europea ha presentato una denuncia formale a Bruxelles, tornando a richiedere la severa applicazione dei dazi.

A quasi un anno dal compromesso raggiunto tra Cina e Unione europea, il caso dumping nel solare rischia di arricchirsi di un nuovo capitolo. Tutto ha origine dalla spietata concorrenza asiatica nella produzione e vendita di pannelli che, come è stato accertato da un’indagine europea, è stata aiutata da azioni di dumping e sovvenzioni statali, portando alla bancarotta numerose aziende europee del solare. Così, alla metà del 2013, l’Unione europea aveva introdotto dazi antidumping nei confronti delle importazioni di prodotti solari dalla Cina.

Per evitare questi dazi del circa 50%, ad agosto 2013 più di 100 produttori cinesi del settore dell’energia solare hanno offerto alla UE, sotto forma di accordo (poi ratificato da Bruxelles), di importare esclusivamente prodotti a prezzi superiori al cosiddetto prezzo minimo, pari a circa 56 centesimi per watt.  Ma, secondo EU ProSun, l’associazione dell’industria europea di settore la cui denuncia scatenò il caso, su tutto il territorio della Ue non sono pagati dazi né viene rispettato il prezzo minimo. L’associazione ha consegnato alla Direzione generale Commercio della Commissione europea circa 1.000 pagine di documenti, che metterebbero in luce la presenza di oltre 1.500 offerte di prodotti solari cinesi messi in vendita a prezzi inferiori a quelli minimi stabiliti dall’accordo tra la Commissione europea e la Cina.

Il presidente di EU ProSun, Milan Nitzschke, ha rincarato la dose: “In Europa vengono sistematicamente violate le norme antidumping. Sembra che nessun produttore cinese si attenga realmente ai prezzi minimi vigenti per le importazioni nella UE. La Commissione deve agire al più presto per bloccare queste violazioni e applicare delle sanzioni”. Secondo la denuncia di EU ProSun, la gamma di trucchi con i quali i produttori cinesi evitano i vincoli della UE è quasi illimitata. Si va da provvigioni nascoste, mascherate da incentivi per il marketing, a dichiarazioni dei prodotti errate, fino a bonus distribuiti regalando una cassa di moduli o di inverter gratis a coloro ai quali il prezzo non sembra sufficientemente economico. Secondo gli industriali europei, la maggior parte dei produttori cinesi, per questi affari, si serve di intermediari internazionali, che fungono da “cuscinetto” tra le imprese cinesi e le istituzioni europee.

Milan Nitzschke ha aggiunto: “L’accordo tra la Commissione europea e le imprese cinesi parla chiaro: anche nel caso di minime violazioni delle disposizioni, il produttore coinvolto viene escluso dal regolamento sul prezzo minimo. Viene poi immediatamente applicato il dazio del circa 50 per cento sul prezzo all’importazione.” Il dazio deve essere pagato dall’importatore europeo, se necessario anche in un secondo tempo. In caso di gravi violazioni dei dazi possono essere intraprese anche azioni penali. In buona sostanza, secondo l’industria fotovoltaica europea, l’unica strada percorribile è la severa applicazione dei dazi. Ma anche se queste denuncie dovessero essere provate, l’Unione europea avrà la volontà di ravvivare uno scontro con Pechino sul fotovoltaico? Il dubbio è lecito.